Sulla mia pelle era alla fine della lista dei film che mi ero ripromessa di vedere al Festival di Venezia.
A pensarci ora me ne vergogno, visto che è una delle pellicole che ho apprezzato di più.
Il mio iniziale “rifiuto” nel vedere l’opera cinematografica di Alessio Cremonini era dovuto al fatto che temevo che il racconto della vicenda di Stefano Cucchi mostrasse solo una versione dei fatti.

Della storia di Cucchi ne avevano parlato così tanto i media che c’era il pericolo che si trasformasse in un film “banale” e pieno zeppo di stereotipi.
Ciò invece non è accaduto: Alessio Cremonini non si schiera e narra gli ultimi sette giorni di Stefano Cucchi con grande intelligenza.

Al dì là di ciò che uno possa pensare sull’accaduto, dopo aver visto Sulla mia Pelle avrà una percezione diversa. Vivrà “sulla sua pelle” l’inquietudine della famiglia: si sentirà impotente quanto loro di fronte a tutti i rifiuti e gli assurdi cavilli burocratici che hanno condito la triste vicenda. E allo stesso modo, percepirà anche l’impotenza dei medici e delle persone che si erano adoperate per migliorare le condizioni del giovane romano.

Alessandro Borghi ci restituisce uno Stefano Cucchi che non è un santo, ma è un “uomo”, con tutti i difetti e le debolezze tipiche degli uomini. Borghi è così bravo da farci dimenticare che quello che stiamo vedendo sullo schermo non è Stefano Cucchi. Quella che egli offre al pubblico è una prova magistrale (e di grande coraggio) che lo proietta nell’Olimpo dei giovani grandi attori di cui vantarci anche all’estero.
Chiara Orlando