Ad Astra, recensione del film

È un Brad Pitt (apparentemente) inscalfibile ed imperturbabile ad aprire Ad Astra, la nuova pellicola di James Gray presentata a Venezia 76 e di cui lo stesso Pitt è anche produttore. Roy McBride (Brad Pitt) è un astronauta che ha votato la sua vita al lavoro, così come fece il padre (anch’egli astronauta) e di cui da anni si sono perse le tracce.

Una scena di Ad Astra

Egli tuttavia è ancora nello spazio impegnato (o meglio ossessionato) nel ricercare nuove forme di vita a milioni di chilometri dalla terra, ma sempre più lontano dalla realtà e dagli stessi esseri umani.

Roy McBride (Brad Pitt) in una scena della pellicola


A Roy McBride viene chiesto di partire per l’ennesima missione: il pianeta terra è minacciato da continui sbalzi di energia che provocano catastrofi sempre più frequenti. Quando gli esperti captano un segnale dalla base operativa del padre di McBride (Tommy Lee Jones) capiscono che non solo possono esserci probabilità che egli sia vivo, ma che egli possa essere coinvolto negli sbalzi energetici.

Ad Astra, an epic journey


C’è tanta, troppa attenzione al dettaglio nelle scene girate nello spazio di Ad Astra, a discapito di un’attenzione al dialogo dei protagonisti del film. Certo, nulla si può dire della performance di Pitt che appare a suo agio anche in versione intimista e solitaria, ma non sfruttare il talento di cavalli di razza quali Donald Sutherland e Tommy Lee Jones è un vero peccato.

L’attore Brad Pitt nella pellicola di James Gray


Ad Astra non convince: sebbene sia dotato di ottima fotografia e una buona regia, è un altro film che non scava in profondità e tantomeno ci fa sognare.
Il finale pare essere stato costruito ad hoc per soddisfare il pubblico, cosa che piacerà a molti, ma che non è così apprezzato dai cinefili, avvezzi di colpi di scena e plot incalzanti.
Peccato!

Chiara Orlando

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